Franco Pedrina

Filippo Abbiati

Piante come cupole di Borromini… gruppi d’alberi che avvolgono il mondo… Una ricerca dello spazio che è solo sua. Franco Pedrina torna a Palermo, dopo tre anni, con una nuova personale. La sua violenza naturalistica esplode immediatamente in una quindicina di tecniche miste (tempere e pastelli) dove però con un’euritmia da antico pendolo ci porta ad intervalli regolari ad eleganze improvvise, orientali, controimmagini di antiche e mai viste stampe giapponesi. Le tecniche miste da sempre accompagnano la ricerca di Pedrina della quale rappresentano lo zoccolo duro, l’origine, lo studio primario per i quadri che seguiranno.
«La tecnica mista - afferma il pittore veneto - è l’immediatezza tra il dentro e il fuori. Tra gli alberi, gli alberi la natura e l’io osservante. Vedere un albero, sentirlo e riportarlo sulla carta è come bere un bicchiere di vino. Un gesto del vivere…». Pedrina è un uomo di antiche civiltà e di poche parole.
«Il dipingere a olio è un dialogo. Un dialogo che porto avanti nel tempo con le mie immagini. La mia può anche essere letta come una pittura della memoria. Una costruzione continua. Cambio, muto, consumo il quadro. Quando ho finito ho dato al quadro me stesso ma ho preso anche da lui qualche cosa…».
Nella sua più recente pittura Franco Pedrina ha spinto la propria ricerca verso la luce. «Oltre al colore è la luce che mi affascina. Certo le situazioni di fronte al quadro sono molteplici. Lavoro simultaneamente su più quadri. Un’opera la lascio riposare e così quando la “rivedo”, ho il senso della scoperta. Ci torno sopra con accanimento, con passione, con maggior senso autocritico. Ne addolcisco i paesaggi dove la materia è cruda. Vado alla ricerca della sua luminosità interna…»
I Girasoli di Franco Pedrina oggi sembrano isole carnose e slabbrate, galleggianti su campiture apparentemente piatte, risultati di sapientissime velature, di alleggerimenti, di scansioni timbriche. C’è una luce nuova nei Girasoli, una luce che corrode la materia, che ne consuma impercettibilmente i contorni trasformando il grande fiore in un sogno, una goccia di sangue rappreso, un antico volto che riaffiora o che sta per essere risucchiato nel passato.
La composizione di tutte le opere di Pedrina è in parte cosciente e in parte istintiva.
«La mia ricerca - confida il maestro veneto - è costante. Posso impostare un quadro in un’ora. Poi però lo studio, lo porto avanti, lo correggo per almeno un anno. Non ho mai fretta…»
Nelle sue Verzure, nei suoi alberi c’è una prospettiva data dagli spessori, dall’accostamento coraggioso di azzurri squillanti a verdi, ocra…
A Palermo Pedrina ha portato alcuni Mulini. È la prima volta che il pittore veneto affronta il paesaggio aperto. «I mulini ad acqua del Veneto… Li sono andato a cercare con mio fratello seguendo le indicazioni con l’olio. Mi affascina nel mulino l’aspetto meccanico della grande ruota, che diventa paesaggio, natura. E mi affascina l’idea di dipingere qualcosa che sta scomparendo, qualcosa che è sulla soglia della dimenticanza. E ancora m’intriga la luce fredda dell’acqua che scompare…».
E in questi ultimissimi lavori si nota ancora una volta il rigore straordinario, quasi matematico, dei rapporti tra i segni di Pedrina. «Con i mulini ho accettato per la prima volta il paesaggio ma questi mulini li ho snaturati portandoli da diversi piani a uno solo, quello del quadro. Io non ho mai rinnegato la fisicità delle cose. Con i mulini mi scontro con la linea dritta delle pale della grande ruota e diritta la dipingo. Poi la grande ruota vibrerà dentro un paesaggio che è astratto anche se reale…».
La gestualità di Franco Pedrina è estremamente razionale. Una contraddizione evidente che va affrontata da chiunque voglia capire questo straordinario maestro veneto. Tra le improbabili foglie dei suoi alberi, tra le volute dei suoi ceppi vibrano delle orbite magiche riempite di luce filtrata come da cristalli invisibili. In uno splendido quadro sembra che l’occhio di un alieno guardi a una collina dalle ginestre annerite da un incendio. La prospettiva è rinnegata.
«Io dipingo solo gli alberi che amano la musica. Cerco soci, amici, conniventi, complici del mio “ego”. Cerco intermediari tra me e l’Altro, tra me e Dio. Io pittore, creando faccio opera di correzione di una realtà che da parte di un artista non si accetta mai così com’è».
Lunga vita a Franco Pedrina.

(Presentazione nel catalogo della mostra, Galleria Prati, Palermo, 1988)

 

 


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